Le “Vie dei Canti” sono percorsi immaginari e affascinanti: lo stesso nome ispira un pensiero di serenità. Percorrerle con il passo e lo spirito di un aborigeno come racconta Chatwin forse è cosa a noi preclusa, ma sono convinto che ciascuno di noi, a ben guardare, abbia una via del canto dentro di sé.
Si tratta di un viaggio ideale nella propria storia, che precede l’infanzia e i suoi primi ricordi di gioco e si spinge indietro nel tempo ad abbracciare le generazioni passate fino ad idealizzare il mondo dei propri avi. Uno scenario che giustifica il proprio essere adesso e ci fa sentire parte di un percorso. La Via.
Il fatto che poi ad essa venga associato il canto produce un effetto magico che induce gioia e ottimismo. Esiste un canto per ogni stagione, per ogni stato d’animo, per ogni occasione; ogni via ne ha ascoltati molti ed infiniti altri ne farà suoi.
Condividere questa ricchezza con qualcuno è il viaggio più meraviglioso che si possa compiere; non sono necessari grandi mezzi, non occorre andare in Australia a visitare Ayers Rock e perdersi nel deserto; è sufficiente condividere un pensiero comune e utilizzarlo come partenza del viaggio, magari pensando a una vecchia creuza genovese sulle note di De Andrè.
Ciascuno, per gradi, porterà l’altro per mano ad esplorare mondi nuovi, pensieri diversi, panorami inesplorati.
La comprensione di ciò scatena il canto, un nostro personalissimo canto che ci rende vivi e consapevoli. Non è necessario conoscere il proprio compagno di viaggio, lo si può trovare anche in uno sconosciuto con cui per un istante si prova un momento di empatia.
Mi piace l’idea di essere un collezionista di tali viaggi, che considero più preziosi per me di quelli che faccio portando il mio corpo in giro per il mondo. Li conservo e so di poterli rivivere in ogni momento e mi piace parlarne perché il viaggiatore che è in me si nutre anche e soprattutto di Vie dei Canti.