Talvolta i viaggi non sono delle partenze verso mete spensierate ma dei ritorni nei luoghi dell’infanzia o della giovinezza. Si effettuano in età matura con lo spirito di chi si aggrappa ai ricordi sentendosi a volte più giovane e a volte maggiormente oppresso dal tempo trascorso.
E’ un viaggio nel tempo in cui spesso il protagonista porta con sé, oltre alla memoria, anche figli o nipoti per tramandare quello che ricorda della propria storia di famiglia, anni e luoghi cari che col trascorrere degli anni vengono idealizzati e dipinti con colori delicati.
Avvicinandosi alla meta gli occhi del viaggiatore riflettono l’ansia e l’emozione del momento. Essi vanno alla ricerca di elementi noti in mezzo agli inevitabili cambiamenti che un luogo subisce nei decenni; occorrono dei punti di riferimento per ambientarsi in un luogo che altrimenti risulterebbe estraneo non accordandosi col ricordo.
Lo sguardo si illumina ogni volta che qualcosa di familiare viene intravisto e scatena la voglia di raccontare tutto ciò che si è fatto o vissuto in quel particolare posto; è una frenesia del racconto che accomuna questi particolari viaggiatori con i bambini che, colti dallo stupore di una cosa nuova, corrono trafelati a raccontarlo ai genitori accavallando i pensieri alle parole.
E’ altresì un viaggio nella tristezza quando si constata che cose care non esistono più o sono state trasformate dallo scorrere del tempo, la delusione coglie anche quando, di fronte allo spettacolo di un luogo agognato, non lo si vede più con gli occhi di un tempo essendo noi stessi cambiati con la stessa rapidità dei luoghi d’infanzia.
Il ritorno ad Orsera, incantevole paese dell’Istria sulla costa che volge verso l’Italia, non fa eccezione. Qui la ricerca passa attraverso i campi di terra bruna e i filari delle vigne che ci accompagnano fino a vedere il paese arroccato sulla collina che domina il mare, alla foce del Canal de Leme, dove la vista delle 18 isolette cattura l’anima e i ricordi.
Si va alla ricerca della Casa Vecia, della Casa Nova passando per Santa Fosca, Sant’Antonio, San Martino in un intrico di stradine anguste e piazzette colorate di fiori in cui echeggia ancora il dialetto veneziano e i richiami delle persone che le hanno popolate: Lina la Brontola, Tonin Vin Bon, Bepi Moscato e innumerevoli altri, tutti rigorosamente col loro soprannome tanto che se venivano chiamati col loro vero nome neanche si voltavano.
Il paese è negli anni cresciuto, si è per fortuna espanso senza perdere però la sua caratteristica di borgo romano. Il cuore è restato inalterato e conservato con cura per la felicità di chi torna e il piacere dei nuovi visitatori. Il porticciolo alterna pescherecci senza tempo e moderne barche da diporto e anche la frenesia dei nuovi luoghi di divertimento non scalfisce la placida collina e le sue antiche case.
Un giorno porterò qui anche i miei figli per raccontare loro storie di contadini e pescatori, nonni e bisnonni dai nomi buffi ma che ispirano una tenerezza di altri tempi. Un luogo che, martoriato dalla storia, è stato sapientemente conservato per tutti, nuovi e vecchi viaggiatori.